I contenuti AI, generati con l’intelligenza artificiale, stanno rapidamente invadendo il web. Su blog e social si moltiplicano le frasi tipiche di ChatGPT e le emoji, ora adottate anche da chi, fino a poco fa, le detestava. Tra le community SEO, la domanda è diventata un mantra: Google premia o penalizza i contenuti AI, generati dall’intelligenza artificiale?
In un panorama pieno di congetture, è un documento ufficiale di Google a offrire una risposta concreta: le Search Quality Evaluator Guidelines, aggiornate a gennaio 2025. Questo testo guida migliaia di quality raters nel valutare i contenuti che appaiono nei risultati di ricerca. Ed è anche il nostro miglior punto di partenza per capire cosa Google premia e cosa penalizza.
Dopo un’attenta analisi del documento (oltre 170 pagine), ho identificato i 10 fattori fondamentali che spiegano quando l’AI può essere premiata e quando può diventare il peggior nemico SEO.
Google premia i contenuti originali, curati e verificati
Uno dei cardini delle linee guida (p. 21) è che il contenuto deve essere frutto di sforzo umano reale, originalità e accuratezza dei dati, apparentemente una forte presa di posizione contro l’AI.
Infatti, i contenuti AI rischiano di essere percepiti come “low effort” se non supervisionati. L’AI riformula informazioni che trova online, spesso non aggiunge valore interpretativo o critico e l’assenza di originalità porta al rischio di contenuti duplicati. Questo può essere un problema perché Google penalizza i testi che sembrano generati in automatico e privi di valore aggiunto. Se il contenuto è percepito come poco originale o prodotto in massa, viene classificato come “Lowest Quality MC”.
Al contrario, se l’AI viene usata per costruire contenuti unici, ben curati e verificati, il giudizio può essere molto positivo. L’AI può garantire uniformità stilistica, agevolando la fruizione del contenuto, e può aiutare a trattare un tema in modo esaustivo, rispettando i criteri di completezza informativa e fornendo nuovi spunti da approfondire.
Serve esperienza umana per rispettare l’E-E-A-T
Google non guarda solo al testo, ma anche a chi lo scrive. Le linee guida (p. 78) introducono l’esperienza (Experience) come nuovo pilastro dell’E-E-A-T.
Un contenuto AI, per quanto ben scritto, non può sostituire l’esperienza diretta dell’autore umano, soprattutto su temi delicati come salute, finanza, educazione, ambiti in cui il paradigma E-E-A-T è fondamentale e in cui errori o imprecisioni possono portare a severe penalizzazioni.
Serve quindi un’autorialità riconoscibile, magari arricchita con contributi o supervisione da parte di esperti del settore.
Google valorizza i contenuti con uno scopo chiaro e una buona struttura
Il documento è chiarissimo (p. 10): Google valuta quanto è chiaro lo scopo di una pagina e quanto bene viene raggiunto.
I contenuti AI generici o disordinati rischiano di non comunicare il purpose. Peggio ancora, se il contenuto cerca di ingannare l’utente con titoli clickbait o informazioni vaghe. In questo caso, viene etichettato come “Lowest Quality”.
Le pagine devono invece avere un obiettivo utile evidente, una struttura logica e facilmente fruibile, senza trucchetti o layout fuorvianti. Se usata bene, l’AI può aiutare a strutturare contenuti in modo chiaro e preciso, migliorando la leggibilità e di conseguenza il PQ rating.
I contenuti devono soddisfare il search intent, non solo riempire spazi
Il concetto di Needs Met (p. 113) è centrale. Il risultato della ricerca deve essere utile e soddisfacente per l’utente.
Un contenuto, anche se scritto da AI, può ricevere una valutazione alta se risponde in modo appropriato, completo e pertinente alla query, con tono naturale e comprensibile. Se invece è vago, fuori tema o troppo generico, viene etichettato come “Fails to Meet”.
Il rischio, con l’AI, è generare testi universali che non colgono il vero search intent. La soluzione? Prompt specifici e revisione editoriale.
Google applica regole severe su temi YMYL
Se il contenuto riguarda salute, finanza, sicurezza o diritti civili, Google pretende massima accuratezza e responsabilità. Si tratta dei cosiddetti Your Money or Your Life (YMYL), ai quali applica il massimo livello di controllo e moderazione (p. 11).
Se l’AI genera testi su questi temi senza fonti, senza firme, senza accuratezza, il contenuto viene penalizzato. In casi gravi, viene considerato potenzialmente dannoso.
Il pericolo è quello di errori di fatto, affermazioni non verificate o vere e proprie allucinazioni nelle quali l’AI può incorrere. In questi contesti, l’AI va solo usata come supporto, non come autore principale, e va sempre supportato da verifica esperta o supervisione editoriale.
I contenuti devono avere un autore chiaro e una responsabilità editoriale
Chi ha scritto questo contenuto? Chi ne risponde? Le linee guida (p. 35) impongono che le pagine indichino chiaramente il creatore del contenuto e l’entità responsabile del sito.
L’anonimato o la mancanza di trasparenza riduce la fiducia agli occhi di Google. La soluzione è firmare ogni contenuto e indicare una pagina “Chi siamo” completa.
Gli autori non devono essere utenti fake, ma entità reali e riconoscibili online.
La reputazione del sito e dell’autore influenza la visibilità
Google valuta non solo la pagina, ma anche la reputazione esterna del sito e dell’autore (p. 22). Se il tuo sito è noto per contenuti spam o clickbait, anche un buon testo AI verrà penalizzato.
Al contrario, una buona reputazione costruita nel tempo con link e referenze rafforza la credibilità dei contenuti, anche se in parte generati da AI. E la reputazione può essere costruita solo da un umano. Almeno per ora.
Contenuti AI in scala? Rischi penalizzazioni per spam e thin content
Le sezioni 4.6.5 e 4.6.6 mettono in guardia da un rischio molto concreto: lo scaled content abuse. Google penalizza la creazione massiva di contenuti simili, duplicati, creati con “little to no effort”.
L’AI impara da tantissime fonti sul web che considera affidabili. In questo modo, facilita la produzione in quantità, ma rischia di diffondere una grande quantità di contenuti simili che copiano l’uno dall’altro.
Generare migliaia di contenuti simili o senza supervisione può portare a penalizzazioni per spam o thin content. La chiave è limitare, variare, personalizzare.
Usare l’AI per aggiornare i contenuti funziona, ma solo con controllo umano
Google valorizza la freschezza, soprattutto su contenuti che invecchiano rapidamente (p. 157).
L’AI consente di aggiornare i contenuti in modo tempestivo ed è utile nel mantenere freschi articoli e guide, soprattutto in settori che cambiano spesso.
Usare l’AI per mantenere vivo e aggiornato un blog o un prodotto editoriale può aumentare la visibilità, se fatto con criterio e fact-checking per evitare errori che possono influire negativamente sulla credibilità.
Google premia i contenuti che includono FAQ, markup e elementi extra utili
Google valuta positivamente elementi come FAQ, microcopy, meta tag, schema markup, tabelle o strumenti interattivi che aiutano l’algoritmo a classificare la pagina (p. 60–72).
L’AI può automatizzare molto di questo lavoro, migliorando l’esperienza utente e facilitando l’estrazione di snippet o rich result. Attenzione però: devono essere utili, pertinenti e ben scritti.
Come usare l’AI per creare contenuti che piacciono davvero a Google
Alla fine, la vera domanda non è se l’AI sia buona o cattiva per la SEO. Chiediti piuttosto come puoi utilizzare l’AI al meglio.
Google non discrimina i contenuti scritti con AI, ma penalizza:
- testi inutili, ripetitivi, superficiali;
- contenuti senza autore o contesto;
- siti senza reputazione o trasparenza.
Al contrario, premia chi usa l’AI come strumento intelligente per migliorare qualità, velocità, profondità, usabilità.
Le Google Quality Rater Guidelines sono chiarissime: i contenuti devono essere utili, accurati, esperienziali, originali e affidabili. L’AI può aiutarti a raggiungere questi obiettivi ma è necessario saper scrivere prompt efficaci, verificare, aggiungere esperienza, personalizzare.
Usa l’AI, ma trattala sempre come un’assistente editoriale, non come l’autore. E ricordati: Google premia la qualità, non la quantità.